FAQ
FAQ
La farina può essere conservata sfusa nei silos o in apposite confezioni in carta sigillate, conformi al D.L. 21.03.73 e successivi, che permettano la traspirazione del prodotto. I sacchi in carta non devono essere a contatto diretto con pavimenti o pareti, per questo vanno posizionati su appositi bancali non aderenti al muro.
Per “Forza” si intende la capacità che ha una farina di assorbire i liquidi durante l’impasto e trattenere l’anidride carbonica durante la lievitazione.
Una farina è debole quando assorbe pochi liquidi nell’impasto, forma una massa di glutine ridotta e durante la lievitazione trattiene meno gas. Si utilizzano le farine deboli specialmente per la produzione di grissini, focacce, pani rustici, biscotti e paste frolle, prodotti caratterizzati da poco volume.
Una farina è classificata come forte quando assorbe elevate percentuali di liquidi e trattiene bene l’anidride carbonica. È in grado di formare più glutine e il suo impasto è elastico e resistente. È consigliabile il suo utilizzo specialmente per quei prodotti che richiedono molto sviluppo e lunga lievitazione come, ad esempio, la rosetta soffiata e la ciabatta con biga. I pani prodotti con queste farine si caratterizzano per mollica alveolata e soffice e crosta sottile. Si utilizzano farine forti anche per i prodotti dolciari da ricorrenza: colomba, panettone e pandoro.
Una farina di forza normale possiede caratteristiche intermedie tra le due e viene utilizzata per la maggior parte delle ricette del pane.
In Italia il contenuto massimo in ceneri per ogni categoria di farina viene regolamentato dalla legge n. 580 e successive modifiche, che stabilisce alcuni parametri necessari per poter commercializzare la farina di grano tenero:
“Le farine di grano tenero destinate al commercio possono essere prodotte soltanto nei tipi e con le caratteristiche seguenti:

È tollerata l’immissione al consumo di farine di grano tenero con tenore di umidità fino al 15,50%, a condizione che sulla relativa etichetta figuri la dicitura umidità massima 15,50%.”
La raffinatezza della farina non ha nessun tipo di correlazione con la forza della farina.
Il glutine è un reticolato proteico che si forma durante la fase di impasto, quando si uniscono gli ingredienti liquidi (acqua, latte, altri liquidi) alla farina e si applica una forza. Più il reticolato è fitto e resistente più riesce a mantenere la struttura dell’impasto durante le fasi della lavorazione espandendosi sotto la spinta dei gas di fermentazione.
Dalla quantità e dalla qualità del glutine dipende il comportamento dell’impasto in tutte le fasi della produzione.
Maggiore è il W più le farine sono forti. I valori variano da 130-150 per farine deboli (da biscotto) a 500 per farine molto forti, per impasti a lunga fermentazione come i lievitati da ricorrenza.
Come tutti i parametri che si ricavano dalle analisi di consistenza sugli impasti, per un giudizio completo, il valore di W è da mettere in relazione con i parametri degli altri strumenti di analisi: Farinografo, l’Amilografo e l’Estensografo Brabender.
L’indice P/L viene misurato attraverso l’analisi fatta con lo strumento Alveografo di Chopin su un campione di farina impastato con acqua salata per un tempo abbastanza breve.
A un rapporto P/L = 0,6÷0,7 corrisponde una farina equilibrata, a un rapporto P/L > 0,9 corrisponde una farina resistente e a un rapporto P/L < 0,5 una estensibile.
Per una valutazione completa, questo indice deve essere valutato in rapporto con i dati delle analisi farinografiche, estensografiche, del glutine e dell’indice Hagberg.
Come per le altre analisi, anche in questo caso per avere un’informazione completa sulle caratteristiche della farina occorre confrontare questi dati con quelli delle prove alveografiche, estensografiche e del glutine.
L’attività delle amilasi deve essere sempre bilanciata.
Se è scarsa (valori di Falling Number superiori a 400 secondi) i prodotti finali avranno volume poco sviluppato e mollica secca e compatta.
Se le amilasi sono troppo attive (valori di Falling Number inferiori a 200 secondi) i prodotti finali avranno forma piatta, mollica umida e appiccicosa e crosta scura.
Per correggere le farine con scarsa attività amilasica si può aggiungere all’impasto del malto. Per correggere le farine con alta attività amilasica occorre aumentare l’acidità dell’impasto utilizzando una buona percentuale di pasta di riporto per inibire le amilasi eccessivamente attive.
Una farina con un’attività amilasica normale ha un indice di caduta compreso tra 220 e 350 secondi.
Le micotossine possono svilupparsi prima o dopo il raccolto del grano, in seguito a condizioni ambientali sfavorevoli (es. eccessiva umidità insieme a temperature elevate) oppure durante la fase di stoccaggio, a causa di scorrette pratiche di conservazione.
Se ingerite dall’uomo o da animali, le micotossine possono dare luogo a patologie acute e croniche. La Comunità Europea ha emanato direttive e regolamenti con i quali vengono fissati i tenori/valori massimi ammessi nei diversi prodotti, tra cui i cereali e i derivati.
È estremamente importante individuare le materie prime contaminate ed escluderle dai processi produttivi, soprattutto perché le micotossine sono termoresistenti, non vengono distrutte dai comuni processi di cottura o stabilizzazione degli alimenti.
Con il metodo semidiretto tutti gli ingredienti vengono impastati in un’unica fase, ma adoperando la pasta di riporto: un pezzo di impasto prodotto durante la lavorazione precedente, che contiene tutti gli ingredienti dell’impasto e ha un periodo di maturazione maggiore. La pasta di riporto viene messa da parte nel momento della formatura, refrigerata e utilizzata il giorno dopo.
L’utilizzo della pasta di riporto nel prodotto finito migliora gusto, sviluppo e conservabilità.
Il metodo indiretto prevede due fasi: nella prima si prepara un preimpasto (poolish o biga), nella seconda si aggiungono ai preimpasti, precedentemente fermentati, tutti gli altri ingredienti.
Anche la panificazione a base di lievito madre è un metodo indiretto in quanto all’impasto precedono i rinfreschi del lievito.
La percentuale di lievito compresso nella biga è costante, solitamente l’1%.
Nel poolish la percentuale varia in base alle ore di fermentazione: per un poolish di 2-3 ore è necessario il 2,5% del lievito compresso, mentre per un poolish di 18 ore è necessario lo 0,1%.
Il tempo di fermentazione della biga deve essere di minimo 18 ore, anche se l’ottimale è almeno 20-24 ore. La biga può essere lasciata a fermentare anche fino a 72 ore, tenendo conto che la temperatura in cui si lascia l’impasto a riposare deve essere più bassa nelle prime ore (+2÷+4°C) e più alta nelle ultime 8 ore (+18°C).
Sia la biga sia il poolish conferiscono benefici al prodotto finito in termini di gusto, profumo, sviluppo, alveolatura e conservabilità.
La madre deve essere rigorosamente rinfrescata e mantenuta di volta in volta, perché è una materia viva, che contiene diversi microrganismi in grado di farla lievitare e quindi crescere. Negli impasti funge da innesco alla fermentazione.
Ci sono due metodi principali per conservare il lievito naturale: a bagno in acqua o all’asciutto.
Un lievito madre di buona qualità ha: colore chiaro bianco-avorio, sapore dolce-acido senza retrogusti, alveolatura fine e sviluppata, consistenza morbida ma non appiccicosa, profumo acido-dolce, acidità con PH a 4,5, che può oscillare fra 4,1 e 4,8.
I vantaggi nell’uso del lievito naturale sono:
- Maggiore stabilità in lievitazione
- Alveolatura più fine e sviluppata
- Prodotti digeribili e leggeri
- Gusto inconfondibile e profumo intenso
Il lievito naturale si realizza con una miscela di farina e acqua lasciata a maturare a temperatura ambiente per un tempo più o meno lungo. La sua microflora è molto ricca ed è composta prevalentemente da batteri lattici e, in minor quantità, dai lieviti.
I prodotti a base di lievito naturale si realizzano con tempi più lunghi rispetto ai prodotti a base di lievito di birra. Grazie all’utilizzo del lievito naturale vengono esaltate caratteristiche del prodotto come: sapore, profumo, sviluppo, conservabilità, digeribilità.
Un impasto senza sale o con una scarsa quantità fermenta più in fretta e ha minore capacità di mantenere la forma. Di conseguenza potrebbe essere: appiccicoso, difficile da lavorare, poco voluminoso. I prodotti finali potrebbero avere forma piatta, mollica compatta e crosta dal colore troppo chiaro.
E’ necessario mescolare bene tutti gli ingredienti, non solo per incorporarli uniformemente, ma anche per ottenere attrito e unione a livello molecolare delle componenti chimiche della farina e degli altri ingredienti.
Durante l’impasto avviene la formazione del glutine attraverso l’unione delle proteine insolubili della farina. Avviene inoltre l’ossigenazione. L’impasto incamera una parte di aria e diventa meno denso, più soffice e favorisce così il processo di fermentazione (l’ossigenazione dell’impasto stimola l’attività vitale dei lieviti).
- Forza della farina: una farina debole, avendo una resistenza della maglia glutinica minore rispetto ad una farina forte, ha un tempo di impasto inferiore;
- Tipo di impasto: molle, morbido o asciutto. Gli impasti molli, avendo minore densità e attrito più scarso dei suoi componenti a livello molecolare, vanno impastati più a lungo rispetto a quelli asciutti.
- Temperatura: la temperatura al termine dell’impasto deve essere +28°C per gli impasti molli, +25/26°C per gli impasti morbidi, +23/24°C per gli impasti asciutti.
- Modalità di impasto: a spirale, a braccia tuffanti, a forcella, a mano.
L’impastatrice a spirale dà maggiore attrito all’impasto, che si forma prima.
L’impastatrice a forcella è quella che dà uno sforzo minore e, tra tutti i tipi, è la più lenta.
L’impasto a mano necessita di un tempo minimo di un quarto d’ora, tempo che aumenta in base alla densità dell’impasto e alla forza della farina.
L’impasto è pronto quando ha consistenza liscia, non si appiccica alle mani, è elastico e abbastanza malleabile, ha una certa resistenza.
Se un impasto non viene impastato a sufficienza la sua maglia glutinica non si forma del tutto e rimane debole.
Se si impasta troppo si fa un eccessivo sforzo sulla maglia glutinica, che si rompe.
Ne esistono di 3 tipi:
- Fisica: ad esempio negli impasti a base di bianco d’uovo
- Chimica: negli impasti con agenti lievitanti chimici
- Biologica: negli impasti con lievito di birra o lievito naturale
Nel pane e nei prodotti da forno “lievitati” avviene la lievitazione biologica.
La produzione del pane necessita di una prima fermentazione della pasta, chiamata anche “puntata”, seguita da spezzatura, formatura e lievitazione finale.
La lievitazione finale delle forme influisce sulla qualità del prodotto finito.
Può avvenire a temperatura ambiente oppure in apposite celle di lievitazione, dove solitamente viene impostata una temperatura attorno ai +28/30°C, con relativa umidità.
Le lievitazioni più “spinte”, a temperature più alte per velocizzare il processo (es. +38/40°C) rischiano di far realizzare prodotti con mollica meno uniforme, cavità grosse all’interno, sapore più forte e meno gradevole.